I CRONISTI DELLE NOSTRE STORIE
I poeti e gli scrittori sono uomini e donne che raccontano le nostre storie.
Li ritroviamo sui campi di battaglia, nelle strade delle metropoli, sugli arenili assolati, tra i cumuli di macerie, nel verde mosaico della campagna…
Possono parlarci in versi o in prosa, ma restano la cassa di risonanza delle nostre nevrosi, dell’amore tenero, della passione, della speranza, del rimorso, dell’inganno e della frustrazione. Sono la voce dei ragazzi di borgata e degli emarginati, sono l’urlo dei derelitti e dei ribelli, degli incompresi e degli sfruttati.
A loro, cronisti di segmenti della nostra storia, di lampi di vita quotidiana, di frammenti della nostra coscienza, dedichiamo questa ventitreesima edizione del Premio “Città di Cava”, che si nutre della loro linfa e che attraverso la voce del singolo artista ci proietta nella dimensione universale della percezione e della conoscenza.
Come è ormai noto, l’intento di stimolare sempre più l’interesse per la lettura ci ha spinto ad introdurre fin dalla scorsa edizione del Premio Città di Cava” la sezione dedicata ai “racconti brevi”. I risultati ci hanno dato ragione perché è notevolmente cresciuto il livello delle opere iscritte a queste due sezioni concorsuali per non parlare poi della possibilità di scoprire un settore ancor più vasto ed intrigante. Molti racconti brevi sono inediti: leggere i dattiloscritti è un’esperienza affascinante ed allo stesso tempo difficile. Ma l’Iride vuole essere per i tanti scrittori che non vivono sotto i riflettori un’opportunità. Nomi sconosciuti dietro i quali si nasconde una penna interessante, nuova, in grado di trasmettere emozione, di raccontare.
L’edizione 2006 del Premio ha richiamato opere pregevoli, espressione e testimonianza dell’evoluzione della cultura e del costume della società. Si è passati così dal racconto storico e noir, dal romanzo a tratti rosa a quello sociale in cui l’uomo è sempre al centro di tutto e di tutti. Da Presidente sono stata onorata di scoprire ancora una volta che molti autori, candidati, risiedono in città lontane da Cava de’ Tirreni. Addirittura c’è qualcuno che vive al di là dei nostri confini nazionali, e tutti hanno compiuto, insieme alle case editrici, ogni sforzo per essere presenti alla manifestazione conclusiva del Concorso.
La valutazione delle opere è stata effettuata dalla Giuria composta quest’anno da Maria Olmina D’Arienzo, docente del Liceo Classico e supervisore SICSI; da Fabio Dainotti, docente di materie letterarie e poeta; da Concita De Luca, giornalista, e da Francesco G. Forte, responsabile della Casa Editrice Oèdipus.
Le modalità di selezione degli artisti sono state -come di consueto- articolate in due fasi: ciascun giurato ha esaminato e valutato singolarmente le opere in gara, successivamente, in seduta collegiale, la Giuria ha rivisto e discusso le opere, definendo la graduatoria finale.
Nel sito, oltre all’elenco degli scrittori premiati, riportiamo anche un “abstract” delle opere di narrativa risultate prime classificate e, per intero, le poesie graduate ai primi tre posti. Non potevano mancare i giudizi di merito stilati per ciascuna di esse dai componenti della Giuria. Un ricordo tangibile di questo Premio.
La manifestazione conclusiva del Premio –che si è svolta presso la Biblioteca Comunale di Cava de’ Tirreni- offre lo spunto per cogliere lo spirito del concorso e delle opere premiate, la cui lettura è magistralmente curata dall’attore Giuseppe Basta.
La splendida voce di Daria Alfieri, giovane avvocato con la passione per la musica, ha accompagnato la serata con brani di musica leggera italiana e straniera.
Questa ventitreesima edizione del Concorso si svolge con il patrocinio della Presidenza del Consiglio Regionale della Campania, del Comune di Cava de’ Tirreni ed è realizzata con il contributo dell’Assessorato ai Beni ed alle Attività Culturali della Provincia di Salerno che ha offerto i premi destinati ai primi classificati. La consegna dei premi è svolta proprio dall’Assessore, Gaetano Arenare, al quale va il nostro sentito ringraziamento per l’interesse con il quale ha sostenuto l’iniziativa.
L’Azienda di Soggiorno e Turismo di Cava de’ Tirreni -che pure ringraziamo- mette a disposizione ai primi classificati e ad un loro accompagnatore, residenti fuori della Campania, il soggiorno in città nella formula della “mezza pensione” in concomitanza con il giorno della premiazione.
Ringraziamo, infine, gli altri Enti che sostengono la nostra manifestazione. Un ringraziamento particolare al Comune di Tramonti che da’ in omaggio ai premiati una degustazione dei liquori della costiera amalfitana affinché questi portino con sé un ricordo dei sapori tipici della nostra terra.
La Presidente
Maria Gabriella Alfano
Poesia in lingua
PRIMA CLASSIFICATA
PERDONO
Perdono, figlio, per la favola
degli alberi verdi a primavera
e l’inganno di cieli azzurri
specchiati a fiumi di vetro.
Non seppi di stagioni impazzite
né di stracci di plastica alle sponde
e le onde erano canzoni d’amore
sussurrate sulle spiagge a melodie di lune.
Perdono per la pace che ti dissi
e il volo alto della libertà,
per la paternità e il dono di tua madre
e per le nostre vite, unite, ad amare la tua.
Non vidi terre rosse di sangue all’orizzonte
e, perso, il volo bianco dei gabbiani
al crepuscolo nebbioso d’autunno.
Non udii il grido di figli rinnegati
pieni d’assenza, vuoti di memoria.
Non mi raggiunse assordante l’urlo
– mio Dio! –
di bimbi straziati da madri senza grembo
oltre il confine giunte dell’umana empietà.
Abiteranno ancora gli angeli
il sonno di un bambino?
Perdono, figlio, per la vita sbagliata
respirata come l’aria fresca del mattino
dentro lo sguardo di tua madre
e quello mio.
Perdono per tutte le aurore,
per i domani attesi sulla soglia
dopo tramonti di piogge novembrine.
Ma sopra le colline, figlio mio,
l’arcobaleno ci sorride ancora.
Ed è come se tutto cominciasse ora.
Franco Fiorini – Veroli (FR)
Una sensibilità profonda e struggente permea i versi di questa poesia, che è nello stesso tempo bilancio e denuncia. La caduta degli ideali e l’amara presa di coscienza di una realtà alienante, disumana e diversa dalle attese e dalle speranze nutrite provoca nel poeta/padre il bisogno di chiedere perdono al figlio: non ha saputo o voluto distruggere le favole e disvelare la tragedia del mondo e dell’uomo, per mostrargliela senza infingimenti, nella sua tremenda verità. Colpa del suo amore intenso ed esclusivo, ma anche della speranza ad oltranza che, nonostante tutto il male e il buio del mondo, “sopra le colline” rimane “il sorriso dell’arcobaleno”, a significare la possibilità della rinascita e dell’avvento di una umanità nuova.
Maria Olmina D’Arienzo
SECONDA CLASSFICATA
LA PREDA
Alla bimba
dagli occhi a doppio fondo
il lupo sollevò
l’ultimo lembo della gonna
(ginocchia d’avorio
e anima nuda).
Ad occhi stretti
la violò con l’ululato
rappreso in gola,
gonfio di saliva.
Dagli occhi
le scivolò la vita,
la stessa che a lui
gonfiò le tempie
nella corsa da ladro
che increspò la notte.
Anna Ciufo – Pellezzano (SA)
La storia di una violenza è resa con una straordinaria capacità di trasfigurazione poetica: le metafore e analogie, utilizzate attraverso un’espressione essenziale e, per ciò stesso, estremamente incisiva, nulla tolgono alla terribile realtà descritta.
Nessuna parola è lasciata al caso, ma ogni sillaba, ogni fonema è ricercato e plasmato, nel tentativo, per altro riuscito, di dare voce alla rabbia interiore e creare aderenza piena tra contenuto e forma.
L’aggettivazione pregnante, l’uso sagace e scaltrito dell’enjambement, l’anafora di quegli occhi così eloquenti ed inquietanti, significano in maniera dolorosa e spietata l’orrore dello stupro.
Maria Olmina D’Arienzo
TERZA CLASSFICATA
ANNIVERSARIO
22 ottobre 1942
La morte non è pace né colloquio.
È spazio – grigio – dove i morti oscillano
(anche tu padre, anche tu mamma, uccisi)
in un passo illusorio; alberi fermi
vaneggianti nel vuoto – hanno la faccia
spenta, grumo di sangue fatto nebbia:
nell’affanno dei giorni si sfilacciano.
In noi, già vecchi, sono eco di un grido
– così lontano ormai! – labile traccia
secca
di lacrime.
La morte non è pace né colloquio.
Pietro Olivari – Firenze
Nella breve lirica (dodici versi, due in meno di un sonetto), intitolata Anniversario, in cui “l’affanno dei giorni” si esprime in una sintassi franta e spezzata, Pietro Olivari ha saputo trasmetterci il senso dell’incapacità, resa anche metricamente dall’uso accorto dell’endecasillabo sdrucciolo, di entrare in sintonia e d’ instaurare un colloquio pacificato coi propri cari scomparsi.
Impossibile, sembra dirci il poeta in un tono ultimativo che la martellante insistenza della struttura ad anello conferisce alla lapidaria sentenziosità dell’enunciato ribadito nel “refrain”, evocare i morti, o almeno richiamarli indietro da quello “spazio grigio” dove appaiono confinati”, se prima non si sia opportunamente provveduto a chiudere i conti con un passato che non torna e con “l’eco di un grido”, che risale da un tempo “così lontano ormai”.
Fabio Dainotti
PREMIATI CON TARGA
Alberto Averini, Giovanni Caso, Rosario Castronuovo, Elena Cipriani Mazzantini, Renzo Cremona, Luigi De Rosa, Alfredo Di Marco, Annarita Fossa, Alberto Gatti, Paolo Giardi, Giovanbattista Leone, Domenico Luiso, Maria Pia Marcorelli, Rita Minniti, Orazio Nastasi, Francesco Palermo, Anna Maria Pedercini, Anna Gertrude Pessina, Daniela Raimondi, Rosa Raggio, Anna Salvini, Francesco Sassetto, Antonietta Tafuri, Patrizia Tannini, Alfredo Torreggiani, Umberto Vicaretti.
PREMIATI CON MEDAGLIA
Giulio Acquaviva, Paola Alessandri, Giuseppina Amendola, Walter Angelucci, Angela Aprile, Marilia Aricò, Andrea Armonico, Maria Aronica, Pasquale Balestriere, Massimiliano Bardotti, Pierubaldo Bartolucci, Maria Angela Bedini, Vincenzo Belcastro, Annina Bochicchio, Liana Bonuccelli Caputo, Elena Bugini, Gaetano Camarda, Marina Canal, Jole Cantobelli Severino, Domenica Caponiti, Gastone Cappelloni, Maria Luisa Caputo, Pietro Catalano, Maria Vittoria Catalano, Stefano Cervini, Lucrezia Colacicco, Carmelo Consoli, Edoardo Casentino, Giovambattista Croce, Carmela Crosazzo, Pietro D’Agostino, Carla D’Alessandro, Laura D’Allura, Maurizio D’Armi, Monique de Buysscher, Vincenzo De Crecchio, Armando De Marino, Rosa De Stefano, Sergio De Vivo, Nicoletta Di Cecio, Silvio Di Fabio, Guglielmo Di Lieto, Francesca Di Marino, Patrizia Di Martino, Luigi Fontana, Cristina Formica, Chiara Maria Friselli, Cristina Gaiani, Ela Gentile, Pasquale Giannatempo, Anna Gigantino, Ostilio Giglio, Cosimo Flavio Gioia, Marco Gioiella, Antonio Giordano, Maria Francesca Giovelli, Adriano Gizzi, Claretta Guatteri, Giuseppe Gucciardino, Giuseppina Lamberti, Silvia Anna Lantero, Gianluigi Lauro, Gennaro Liscio, Costantino Loprete, Adolfo Mario Macciardi, Gabriella Maddalena Macidi, Concetta Maini, Moreno Marani, Ermelinda Maturanzio, Giovanni Mazzotta, Emma Mazzuca, Vincenzo Mercolino, Annalisa Michelangeli, Assunta Mingione, Donatella Monetti, Maria Teresa Mongibello, Vincenzo Montagna, Alessandro Montaguti, Vittoria Montesano, David Moranti, Enrica Paola Musio, Valeria Nastri, Carlo Olivari, Maria Rosa Oneto, Angelo Orlando, Gilberto Palmacci, Giovanni Panarese, Gabriele Panfili, Mara Penso, Rosa Perrone, Gaetano Piccolella, Grazia Pisanelli, Giovanni Pisapia, Pinella Pistis, Giacomo Prandi, Fedel Franco Quasimodo, Roberto Reggiani, Raffaele Restucci, Maria Rienzi Gorizia, Marco Rigetti, Nicola Rizzi, Pierfrancesco Roccato, Giuseppe Romano, Michele Rossi, Calogero Sabia, Antonio Saladino, Alessandro Santagada, Maria Luigia Scialpi, Antonio Semproni, Sergio Serrino, Graziano Sia, Piera Spiller, Maria Stimpfl, Giuseppina Terranova, Patrizia Tomidei, Anna Torregrossa, Martina Toso, Davide Vaccino, Carmine Valente, Gerardo Valvano, Maria Luisa Vanacore, Pasquale Vinciguerra, Elda Zerbone, Sergio Zingales.
Poesia in vernacolo
PRIMA CLASSFICATA
L’asino che voleva la penzione
Annava mesto l’asino ar macello
sapeva che oramai era condannato;
dòppo ‘na vita de fatiche, quello
è er premio che gli avevano assegnato.
“Che vita che ho menato, che fardello…
arméno se me fossi ribellato;
me lo diceva er povero vitello
che pure a me m’avrebbero scannato.
Pensavo a una penzione dignitosa
‘na brucatina ar sole, un po’ de biada,
‘na stalla calda e poco rumorosa.
Ma la pietà fra l’ommini è assai rada;
so’ bestie dalla vita dispendiosa,
nun s’accontentan mai, comunque vada…”
Michele Verona – Pietrasanta (LU)
L’asino che voleva la pensione
Andava mesto l’asino al macello
sapeva che oramai era condannato;
dopo una vita di fatiche, quello
è il premio che gli avevano assegnato.
“Che vita che ho menato, che fardello…
almeno se mi fossi ribellato;
me lo diceva il povero vitello
che anche a me m’avrebbero scannato.
Pensavo a una pensione dignitosa
una brucatina al sole, un po’ di biada,
una stalla calda e poco rumorosa.
Ma la pietà fra gli uomini è assai rada;
sono bestie dalla vita dispendiosa,
non si accontentan mai, comunque vada…”
Presta mirabilmente voce alla mentalità sociale delle classi lavoratrici, la cui aspettativa, il miraggio di una pensione dignitosa dopo una vita di sacrifici, è mirabilmente simboleggiata da “un po’di biada, da una stalla calda e poco rumorosa,” l’autore di questa poesia in dialetto romanesco.
Nello spazio breve e compatto del sonetto, Michele Verona fa emergere la sua abilità di verseggiatore e la conoscenza dello statuto della favola in versi, che prevede il largo impiego di maschere fisse, personificate da animali parlanti.
Fabio Dainotti
SECONDA CLASSFICATA
Pà
Chiuvìa.
Lu nasu mpiccicàtu nta finesra
l’ acqua sciddicava supra lu vitru
cummigghiànnu lu mè chiantu.
Aspittava nta lu scuru
la lampuzza di la tò bicicletta,
ali nte pedi pi cunsignari littri.
Currennu
scampaniàvi di ddassutta.
Unu, dui colpi all’ iniziu di la strata,
scurusa,
liscia comu na balata.
Dunni sì ora, Pà,
ca nun ti vidu chiù?
Lu trenu t’ arrubbava a la famigghia.
Quantu uri di sonnu pirdisti
pi ghiri a travagghiari!
Jàvamu a fari la spisa.
Era na festa.
La mè manuzza nta la tua,
mi sintìa patruni di lu munnu.
Quannu mi chiamavi,
cuntentu,
ddi paroli m’ abbastavanu
tutta la jurnata.
Finu a quannu, tinennuti la manu,
silinziusu mi passasti li cunsigni.
Nto ‘n lampu
persi tuttu lu munnu.
Dunni sì ora, Pà,
ca nun ti vidu chiù?
Giorgio Li Vigni – Villa Vicentina (UD)
PAPA’
Pioveva.
Il naso appiccicato alla finestra
l’ acqua scivolava sul vetro
coprendomi il pianto.
Aspettavo nel buio
la lampadina della bicicletta
ali ai tuoi piedi per consegnare lettere.
Correndo
suonavi da lì sotto.
Uno, due colpi all’ inizio della strada
Buia
liscia come una lastra di marmo.
Dove sei ora papà
che non ti vedo più?
Il treno ti rubava alla famiglia
Quante ore di sonno hai perso
per andare a lavorare!
Andavamo a far la spesa.
Era una festa.
La mia manina nella tua
mi sentivo padrone del mondo.
Quando mi chiamavi,
contento,
quelle parole mi bastavano
per tutta la giornata.
Fino a quando, tenendoti la mano
mi hai passato in silenzio le consegne.
In un lampo
ho perso tutto il mondo.
Dove sei ora papà
che non ti vedo più?
La figura del padre scomparso, evocata, nel testo di Giorgio Livigni, da sensazioni tattili, sonore e visive, è fissata in pochi gesti elementari, ma tali da riassumere il significato di un’intera vita, la cui precarietà bene è rappresentata, nella prima strofa, dal suggestivo chiaroscuro della “lampuzza”, la lampadina della bicicletta, esistenzialisticamente circondata dallo “scuro “degli interni (la stanza solitaria, dove il bambino attende nella sera piovosa) e degli esterni (la strada dove si compie l’umile fatica quotidiana del lavoro del padre portalettere); e, nell’ultima, dal silenzioso passaggio di consegne, dal lascito morale che si esprime senza parole, semplicemente “tenendosi per mano”.
Fabio Dainotti
TERZA CLASSFICATA
’A TERRA MEJE, ’U PAISE MIJE
A ttije, ca vìnise da uentàne,
an c’è besùgne cke te dicke
addù jà scenne.
Quanne védise ca ci-ue, terre e mare
se ckegnùngene,
e te pàrede ca po’ tuccà ’a uune cu’ ’nu jìdite,
tanne po’ dice
cke jà ‘rrevate ’nta terra meje.
Quanne védise
’i nuuve da uentane cke se cùrrene apprisse
e lu soue ck’an tene presse ’i se jì a cuccà
pe’sinte ’u Pataterne cke fade i cumizzie
e pe’ bìde i ciauve e l’àrevere
cke ne sbattene i mane,
tanne po’ dice
cke jà ’rrevate ’nta terra meje.
E pu’,
quanne védise crestiane rassegnate,
ck’i ténene i diserdérie
ma s’accuntèntene,
ed’ene perse ’a voglie ’i rire
e de sta’ cuttùne.
Quanne védise vìcchje cke su’ sue
ad’aspettà ’a morte ’nnant’a porte,
e li voce cke pàrlene
t’arrìvene da uentàne,
tanne te po’ fermà:
ejà ’rrevate ’ntu paise mije!
Se vo’ scenne, scénnese.
Se no, vatìnne ancun’at’abbànne!
Giuseppe Muscetta – Oriolo (CS)
LA TERRA MIA, IL PAESE MIO
A te, che vieni da lontano,
non c’è bisogno che ti dica
dove devi scendere.
Quando vedi che cielo, terra e mare
si congiungono,
e ti sembra di poter toccare la luna con un dito,
allora puoi dire
che sei arrivato nella terra mia.
Quando vedi
le nuvole da lontano che si rincorrono
e il sole che non ha fretta di andare a dormire
per sentire il Padreterno che fa i comizi
e guardare le taccole e gli alberi
che Gli sbattono le mani,
allora puoi dire che sei arrivato
nella terra mia.
E poi,
quando vedi gente rassegnata,
che ce li ha i sogni
ma si accontenta,
che ha perso la voglia di sorridere
e di stare insieme.
Quando vedi i vecchi che sono soli
ad aspettare la morte davanti la porta,
e le voci che parlano
ti arrivano dal passato,
allora ti puoi fermare:
se arrivato nel paese mio.
Se vuoi scendere, scendi.
Se no, vai da qualche altra parte!
Forma e contenuto trovano in questa lirica una straordinaria sintesi: il dialetto si attaglia e aderisce perfettamente all’invito rivolto al lettore di fermarsi in quel luogo reale e interiore, che è per il poeta la terra dei padri e delle proprie radici.
L’allusività lessicale e la suggestione fonica sono parte integrante ed elemento emblematico connotativo del paesaggio naturale e di quello antropico, immersi in una dimensione oscillante tra reale e fantastico, per ciò stesso ammiccante ed anche estremamente lucida e veritiera. Lo rivelano chiaramente i due versi finali costruiti sull’accorgimento tecnico dell’inaspettato e della sorpresa.
Maria Olmina D’Arienzo
PREMIATI CON TARGA
Antonello Bazzu, Rita Califano, Emilia Fragomeni , Carmine Maggio, Ottavio Marandino, Giovanna Oro, Paolo Sangiovanni, Vittorio Santangelo, Antonio Scarpone, Mario Senatore, Mario Sodano.
PREMIATI CON MEDAGLIA
Angelo Adinolfi, Armando Annunziata, Vincenzo Cerasuolo, Mariangela Chiesa Cantarelli, Rita Coppola Alfano, Paolo Cufino, Mario De Rosa, Giuseppe Descloux,, Roberto Doria, Carmela Gennuso, Maria Natalia Iiriti, Vincenzo Iodice, Emilia Merenda, Maria Merenda, Maddalena Negri, Angelo Passarelli, Mario Profenna, Vincenzo Russo, Giuseppe Schepis, Maria Rosaria Sorrentini, Carlo Vitaliano.
Racconti brevi
PRIMO PREMIO
Occhi verdi da “Storie straordinarie di gente comune”
di Anna de Castiglione
L’incanto del pregevole racconto di Anna de Castiglione, intitolato Occhi verdi, sta tutto nella contrapposizione tra la sensibilità gracile e acerba, ma anche la sapienza chiaroveggente, che i bambini e i preadolescenti posseggono in sommo grado, della protagonista da un lato; e, dall’altro, l’istintuale corporeità, il disordine morale e gli eccessi che tralucono dal trucco pesante e dall’abbigliamento troppo vistoso della donna, riscattati comunque e quasi purificati dall’amore, estrema e superstite giustificazione di una vita sbagliata.
Una natura animata e partecipe (il fascino della notte incipiente, fasciata di solitudine e di perplessità), ma anche gli oggetti inanimati (il sibilo sinistro della locomotiva), creano un’ambientazione fiabesca, suggerendo al contempo un’atmosfera d’inesplicabile mistero.
Sul piano stilistico, ciò si traduce non solo nell’utilizzo accorto dell’antitesi e dell’anafora, ma anche nella ripresa di brevi frasi musicali in funzione ritmica, nel campo e controcampo del duello iniziale tra gli approcci goffi della donna e il silenzio ostinato di Occhi verdi; dialogo che ha luogo alla presenza poco incisiva di una religiosa rassegnata “dalle dita ossute e dalle nocche dure come pietre.”
Fabio Dainotti
SECONDO PREMIO
Una storia di sarte, capomastri, fornai e cappotti
di Paola D’Agaro
Un’anti Penelope, lassù nel profondo nordest, cede al corteggiamento (mica tanto serrato) di un Antinoo fornaio, nell’attesa niente affatto spasmodica di Odisseo minatore, in andirivieni dal mare di Francia, dove è attratto da nausiche con la erre arrotata.
In questi cento righi, puoi leggere il mondo (il dopoguerra e l’emigrazione, l’utopia proletaria e i grandi magazzini) e la vita, il suo profumo. Come l’orcolat che giocosamente se ne sta con i piedi su entrambe le rive di un fiume, così la Guséla protagonista, può accontentare, grazie all’arte sartoriale, il borioso marito che richiede bottoni di madreperla al gilè e calzoni di fustagno, e il colto amante, lettore bipartisàn. Si pensa a Tomizza e Sgorlon, ma la scrittura ha quasi una più lieve densità.
Francesco G. Forte
TERZO PREMIO
La lana in bocca
di Paolo Cacciolati
Ruota intorno ad un fatto realmente accaduto il racconto “La lana in bocca”. Qui l’autore ha tessuto una trama narrativa per la quale realtà e fantasia hanno avuto il reciproco ruolo di confondersi, fino a fondersi in un tutt’uno, per regalare al lettore un viaggio indietro nel tempo che non conosce confini. “21 novembre 1943” è senza dubbio una data da ricordare e questo testo lo fa in modo lodevole: la storia viene messa su carta come se fosse un dovere ma senza forzature. Ci troviamo di fronte a quel dovere di cronaca che scandisce le nostre giornate ma qualche volta non i nostri ricordi.
La guerra, la tragedia della deportazione visti con gli occhi di un tredicenne sono i punti cardinali della storia. Il protagonista ed il suo amico, Cichin, si muovono all’interno del racconto in modo invisibile, quasi in silenzio, come per dare spazio al contesto storico. Personaggi principali ma anche spalla. Le loro corse in bici ricordano quegli anni in cui la vita era molto più semplice e tanto difficile. La realtà cruda, poi, della deportazione arriva sul finale dove emerge prepotente la volontà di far qualcosa che si scontra con l’amarezza di un decorso che non si lascia intercettare. La “pochezza” umana, dettata dalla miseria e forse anche dall’ingordigia, irrompe nelle ultime pagine per lasciare spazio ad una sola immagine: il treno che corre via sui binari, inghiottito da una finta neve. “Guardo il treno allontanarsi, lasciare la stazione, passare accanto al cementificio e venir avvolto dai turbini di polvere vomitati dalla ciminiera”. E la vita dei due protagonisti viene ineluttabilmente segnata. “Mentre torniamo alle nostre bici, Cichin guarda in alto, verso le colline sopra il paese. Tra poco, lo so, andrà a raggiungere quelli delle montagne”.
Concita De Luca
PREMIATI CON TARGA
Silvana Aurilia, Mario Rosario Avellino, Stefano Borghi, Gian Filippo Della Croce, Eugenia Grimani, Maddalena Lonati, Francesco Mastronardi, Lorenza Moltisanti, Franco Querini, Roberta Villani.
PREMIATI CON MEDAGLIA
Marcello Amico, Giuseppe Attanasio, Aldo Bonato, Marco Carina, Alma Chiment, Mattia Conti, Annarosa Della Mea, Paola Depilano, Carmine Di Maria, Patrizia Esposito, Enrico Fontanarosa, Francesco Gaggi, Marcello Guerrieri, Ivo Lignola, Michele Macellari, Marco Managò, Ettore Mariani, Linda Marighella, Maurizio Meggiorini, Carlo Mieli, Salvatore Monaco, Carlo Monteleone, Elena Mossuto Attanasio, Lorenzo Piantini, Luciano Recchiuti, Maria Rizzi, Rosa Romano Bettini, Piera Rossi Celant, Daniela Sacchi, Vittorio Sartarelli, Francesca Segato, Roberta Selan, Vinia Tanchis, Francesco Valente, Lenio Vallati, Domenico Vasile, Anna Vassallo, Gianfranco Venturato.
Romanzi
PRIMO PREMIO
Una ventata di follia
di Giovanni Falsetti
Giovanni Falsetti in Una ventata di follia ha saputo mettere in scena i problemi e il malessere di un’intera società, quella italiana uscita dalle ristrettezze del secondo dopoguerra e attirata dai falsi miraggi del miracolo economico, dando voce a un quadrilatero di personaggi, per raccontare un confronto generazionale, al banco di prova di metodi pedagogici fallimentari.
Mediante gli scandagli potenti di una prosa ricca e variata, l’autore ha evocato anche i riti e i sapori di un mondo contadino (come nella superba rievocazione di quella sorta di cucina di Fratta, dove trova i pochi momenti di riposo la dura e semplice vita di Primo e Nerina), componendo sapienti variazioni sul tèma dell’opposizione città-campagna.
Fabio Dai notti
SECONDO PREMIO
Lisa
di Pietro Solimeno
Non c’è dubbio, “Lisa” attrae il lettore per il suo ritmo, incalzante, avvincente. La storia si sviluppa con estrema naturalezza senza che la banalità la sfiori in alcun modo pur correndone spesso il rischio. Questo ostacolo l’autore è riuscito a superarlo perché non ha usato artifici linguistici; non c’è traccia in tutto il testo di alcuna ricerca spasmodica di effetti sorpresa ma la sola intenzione di raccontare e farlo nel modo più semplice possibile. Ciò che attrae a prima vista è la volontà, forse implicita, di Pietro Solimeno di voler parlare direttamente al lettore. Leggendo il libro si ha la sensazione di trovarsi in un incontro a quattr’occhi con un amico durante il quale un episodio segue l’altro in un susseguirsi temporale veloce ma mai frenetico. E così pagina dopo pagina saltano fuori i temi centrali: l’amore, l’amicizia, la voglia di vivere e qualche volta di lasciarsi andare di Lisa e di Giorgio, i due protagonisti. Ciò che colpisce di questo romanzo è soprattutto la centralità data a tutti i personaggi. Ad ognuno l’autore affida un compito da svolgere affinché la storia vada avanti e segua il suo corso come un fiume che, solitario, si dirige verso il mare.
Anche se qualche volta la struttura narrativa accusa un leggero cedimento, è anche vero che non soffre debolezze. La forza di questo testo è nel gusto di scrivere e di farlo senza fronzoli per non appesantire la storia. “Lisa” piace nell’immediato, sin dalla copertina che lascia immaginare un percorso nel quale perdersi. Ed è così quando si passa di situazione in situazione, di capitolo in capitolo. L’autore riesce con grande maestria ad incollare il lettore al libro. La storia entra direttamente nella mente e prende corpo lasciando che le parole si trasformino in immagini. E’ un libro per tutti che si lascia avvicinare con disinvoltura.
Concita De Luca
SECONDO PREMIO
Prima la panna poi il cioccolato
di Elena Invernizzi eStefano Paolocci
Un romanzo particolare sia a livello contenutistico che strutturale. Una storia d’amore intensa e appassionata, scandita e complicata dalla presenza della malattia, il diabete, che accomuna Giulia e Daniele, rendendoli fragili e forti insieme e segnandone l’esperienza individuale e di coppia.
La tecnica narrativa è originale e innovativa nel suo genere; il racconto, infatti, si snoda in parallelo, a due voci alternate, e procede passo passo nella narrazione dei protagonisti che, dai due diversi punti di vista maschile/femminile, ricordano la loro esperienza ed esprimono i loro sentimenti. Ad un certo punto le loro due vite, così come i loro racconti, si incontrano, si incrociano, si completano a vicenda, tra ansie, paure, gioie, dolori. Lo stile agile, accattivante, essenziale induce a leggere queste pagine tutte d’un fiato.
Maria Olmina D’Arienzo
PREMIATI CON TARGA
Giorgio Albonico, Fabrizio Bianchini, Moris Bonacini, Claudia Catalli, Mariadonata Ciceri, Daniela Dell’Anna, Daniela Iannone, Achille Maccapani, Carla Marcone, Francesca Mercadante, Fulvio Morigi, Gabriele Prignano, Alessandra Santini, Erminio Serniotti, Giuseppe Sorrentino, Angelo Vetturini.
PREMIATI CON TARGA
Giorgio Albonico, Fabrizio Bianchini, Moris Bonacini, Claudia Catalli, Mariadonata Ciceri, Daniela Dell’Anna, Daniela Iannone, Achille Maccapani, Carla Marcone, Francesca Mercadante, Fulvio Morigi, Gabriele Prignano, Alessandra Santini, Erminio Serniotti, Giuseppe Sorrentino, Angelo Vetturini.